Quale modello di sviluppo

Qualche giorno fa ho letto due articoli in linea con quello che penso e volevo approfittarne per mettere giù qualche riga a proposito. Tra l’altro non sono neanche apparsi su fogli sovversivi e clandestini, anzi.

Il primo l’ho trovato su una copia di GQ che mi è capitata in mano per caso: Moderni da morire di Alessandro Robecchi. Il secondo su L’Espresso che ho comprato per il volume sul ’68: Un nuovo socialismo di Giorgio Bocca.
Robecchi commenta l’uscita della nuova utilitaria indiana low-cost, la Tata Nano: solo 1.700 euro per un’auto.

Sarà la 600 del boom economico indiano, ne venderanno milioni, è carina, ma ha inesorabilmente un motore a scoppio, inquina, consuma petrolio. In pratica, quando ogni indiano avrà la sua utilitaria, il pianeta starà molto peggio di oggi. […] Chi glielo va a dire agli indiani che non possono avere la macchina se no schiattiamo tutti? È credibile che noi, dall’alto dei nostri Suv che consumano come uno Shuttle, ce la prendiamo con un proletario di Calcutta perché vuole l’utilitaria?

Giorgio Bocca, pur facendo un ragionamento più centrato sul rapporto tra politica e libero mercato (si concentra sul malcostume italiano di gestire la cosa pubblica come se fosse solo un affare da cui ricavare guadagni per sè e i propri compari, ignorando l’interesse e il benessere generale), arriva alle seguenti conclusioni:

A volte si ha l’impressione che si avvicini la catastrofe finale. La vergognosa vicenda napoletana di una grande città sommersa dalla spazzatura perché i furbi e i ladri per fare soldi non hanno voluto spazzarla via, indica però la via a un socialismo nuovo, non più utopico e romantico, non più evangelico e filantropico, ma da stato di necessità. Un socialismo obbligatorio che s’imporrà per la sopravvivenza, perché il mondo ha dei limiti, perché non ha più posto per tutti i desideri e tutti i soprusi.
Il libero mercato sta portandoci all’autodistruzione: se non provvedi a rimuovere la tua spazzatura, te la ritrovi sulla porta di casa. Il rimedio dei ricchi di passare le loro spazzature ai poveri non è più facile e indolore.
Al posto del libero mercato il socialismo della sopravvivenza arriverà, speriamo, al mercato possibile. Mettendo fine al mercato libero dell’autodistruzione, degli sprechi, dei furti, per passare al mercato ragionevole dei consumi compatibili con le risorse, del benessere esente dagli sprechi e dalle competizioni insensate. E alla rinuncia a una cultura di stampo militare, fatta di continue conquiste e di continui riarmi.

Prima o poi dovremo rassegnarci all’idea che il nostro pianeta ha dei limiti e non è più il tempo per un progresso e uno sviluppo incontrollati e selvaggi, governati solo dalla logica economicista del mercato. Una logica che ha come unici criteri quelli dei profitti (alti) e dei costi (minimi) e che per questo quindi non si cura – anzi, premia – lo sfruttamento delle risorse umane e materiali, la produzione di rifiuti, in ultimo il peggioramento delle condizioni di vita generali e la compromissione della biosfera. E quando tutti i cinesi butteranno via le bici e vorranno la loro bella utilitaria economica e inquinante? Tempo fa avevo letto che se tutti gli abitanti del pianeta avessero un tenore di vita come quello degli americani (il popolo che consuma più risorse pro capite) ci vorrebbero una decina di pianeti Terra per sostenerlo.

Bisognerà prenderne atto e fare ognuno la propria parte per frenare e gestire questo sviluppo altrimenti incontrollato. Un buon punto di partenza è quello di cominciare a informarsi sul concetto della decrescita. Certo, dovrebbero cominciare anche i nostri governati locali, nazionali e sovranazionali; che almeno si vedano il film documentario di Al Gore.


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